Eridano, il Po | Affluire a piedi a piedi affluire
Il racconto corale del paesaggio della Confluenza Ticino-Po esplorato durante la realizzazione del Diorama Autunno, la prima tappa del progetto "Eridano, il Po".
Per saper vedere bisogna esercitare lo sguardo. Facilmente le abitudini s’incistano negli occhi, lasciando tracce profonde quel tanto che basta per far sì che si guardi puntualmente l’una o talaltra cosa. Avere visione d’altronde è sempre un riuscire a comporre figure, a rammendare assieme piccole percezioni, e per ogni rammendo c’è sempre un qualche metodo. È in tal senso che ogni sguardo ha un suo personale orientamento. Una sua postura appresa in un tempo che non si ricorda più, e che seguita a sostanziarsi, come un ricordo che torna e ritorna ancora senza far rumore, e senza farsi notare appioppa un sentimento portante su quel che s’incontra.
C’è una domanda che rompe l’ordito dell’automatismo, che è una di quelle domande bambine, di poco conto: dov’è che puntano i miei occhi? Una volta lo chiesero a me, e mi scoprii vittima dell’orizzonte. Sempre a guardare lontano e poco in prossimità. Tutti hanno qualcosa del genere negli occhi. Come un pulviscolo, un puntino, qualcosa che anche si dimentica di avere. C’è chi ha il mare e chi l’erba, chi le onde e chi l’asfalto, chi la sabbia e chi l’aria, e poi ci sono le loro ambientazioni, che sono le pianure come la nostra, i lidi o i litorali, le rupi o le montagne ma anche i capannoni. Dove puntano i vostri occhi?
Questo abbiamo fatto col Diorama Autunno, nella nostra spedizione d’incerti alla Confluenza Ticino-Po. Eravamo trenta: trenta passeggiatori dinoccolati e poco scaltri, ben disorientati che, ognuno col mezzo che più gli perteneva, ha detto quel che vedeva per come lo vedeva. Così si fa paesaggio: trovando le parole giuste per dire quel che c’è, e così facendo, volenti o nolenti, ognuno ha scostato la tenda delle proprie palpebre per sodalizzare con quel che gli sta dietro. C’è chi ha visto il mare, chi s’è trovato a seguire ordalie di cinghiali e coppie di daini. Chi ha sentito l’origano e chi il dragoncello. Chi ha inventato parole e chi s’è sentito ospite. Chi ha scelto di perdersi nella nebbia che ci ha accompagnato dall’inizio, infagottando il sole in una bambagia lattiginosa, per poi tergersi di colpo all’arrivo alla Confluenza, dove uno spiaggione era nato da poche settimane, prendendo un’isola e facendone un promontorio. Abbiamo tutti camminato nel fango, dove la terra è tutta rammendata da lunghi tubi di plastica nera striati d’azzurro. Dove tutto è eminentemente umano, eppure quel qualcosa che si chiama natura si sente, si vede e si odora, e parla a noi, parla di noi.
Questi sono degli estratti dei diari di viaggio della spedizione d’incerti. Sono i loro paesaggi, le loro pianure, le loro nebbie e le loro visioni.
Piergiorgio
Fotografia di Marta Valdegrani
12:30 – 13:00
[Laura Rossi] Cosa cambia rispetto al mare? Questa pianura a cui la nebbia toglie i confini, terra spoglia e senza voce, lamento di gatta nel grigio indistinto.
[Alberto Fedalto] Il “marrone” a volte supera l’estensione del resto degli elementi, e sembra industria artificiale.
[Alessandro Carrara] Lasciare il passo, lasciare il passo.
[Clara Sistili] Siamo nebbiaggio, viaggio-paesaggio.
[Nicola Giuliani] Avvicinarsi è come allontanarsi. Da cosa? A cosa?
[Sara Barbanti] Battaglia di lupi e caprioli nel fango dei pomodori.
[Pietro Gualazzi] Ore 13:00. Ci siamo persi!
Appunti di Pietro Gualazzi
13:00 – 13:30
[Chen Yao] Abbiamo occhi belli e braccia nude. Non scorgiamo i nostri compagni al di là del campo, ma sappiamo che ci sono, eretti come noi, esili e compatti.
[Ludvik Gomulski] My footprints follow those of wild boar towards the river.
[Marta Valdegrani] Questo luogo mi dice che devo avere pazienza, che per tutto ciò che vedo c’è altrettanto che non vedo. La pianura è un paesaggio che non lascia scampo, sei sempre al centro.
[Tommaso Meena] I solchi tracciati dal trattori qui sono profondi, delle bocche a strapiombo sul mare che amo delle pozzanghere.
[Nicola Giuliani] Un rumore profondo e lontano come di un animale che abita questi luoghi.
Fotografia di Nicola Giuliani
13:30 – 14:00
[Alessandro Carrara] Un purgatorio piano, sabbioso, caldo e aperto.
[Carlotta Crea] Click Click sulle cannine secche spezzati dai trattori, fa profumo di fresco, e sotto le canne si nasconde il muschio.
[Clara Sistili] L’uomo porta la gomma nel nulla.
[Marta Valdegrani] I giunchi mi fanno inciampare e mi sferzano il viso – mi stanno dicendo che questa terra è loro. Occupano anche l’orizzonte – al contrario di prima, posso vedere solo dove muove il passo.
[Simone Pallotta] C’è un passaggio. Qualcuno, più di uno, ci ha preceduto. Anche qui non sono solo.
Fotografia di Isabella Sabatini
14:00 – 14:30
[Alessandro Carrara] Sul letto del fiume / terra rivelata / scaglie di legno fradicio / nero, crepato / come frantumi / di asteroide donato / da un acqueo / arcangelo Gabriele / attendono / e te in dono
[Irene Romano] Forme complesse.
[Marta Valdegrani] Camminare sul letto di un fiume e vedere le cose che in un altro momento sono state immerse è come svelare il segreto di un mago – mi sento quasi che è qualcosa che non avrei dovuto vedere, e che questo è un posto in cui non sarei dovuta arrivare.
[Roberto Figazzolo] La confluenza tra Po e Ticino si è spostata chilometri più avanti.
Disegno di Clara Romano
14:30 – 15:00
[Aurelio Cardella] Calpesto un pavimento che non esiste fino alla prossima piena.
[Clara Sistili] Siamo dentro. Siamo ospiti.
[Luca Rinaldi] Che bello il sole.
[Ludvik Gomulski] There is a little light that unites the sky and waters into a single entity. Traffic passes overhead.
[Rossella Farinotti] Orme. Tracce. Zampette. Zampini. Cerchiamo di sentirci a nostro agio da subito. Se stiamo bene siamo liberi.
[Susanna Sora] Conchiglie. Sabbia. Pescatori. Capannoni. Naturisti. Ex-isole. Alberi impigliati. Impronte. Rugiada come perle.
Disegno di Irene Romano
15:00 – 15:30
[Clara Sistili] Paesaggio fluviale. Etero. Luce grigia che brilla. Siamo sparsi commossi.
[Laura Rossi] Torni a percorre le stesse strade, ma poi le parole che usiamo per descriverle sono solo le nostre. Così il viaggio non è mai uguale. Talvolta è un costruire.
[Simone Pallotta] Siamo sul greto del fiume. Arrivati è arrivato il sole. Il gruppo sciama affondando a tratti nelle sabbie mobili che hanno in loro il fiume, lo trattengono e appare lucente se le scarpe spingono la sabbia verso il basso. Le impronte spariscono, subito.
Appunti di Clara Sistili
15:30 – 16:00
[Carlotta Crea] La luce si abbassa, siamo sulla via del ritorno. Il sole ha un altro colore, il giallo è vivido, tendente al senape, con alcuni punti rossi. È erba dolce, sembra barbabietola. Torniamo sui passi dei cinghiali. […] Cosa ci fanno dei giochi per bambini in mezzo al nulla dei campi? Sentiamo le campane, sta finendo la giornata.
[Irene Romano] Weird goobyes.
[Rossella Farinotti] Il viaggio di ritorno è sempre più breve. O almeno sembra più breve. Forse è solo la consapevolezza di rivedere delle cose, di riconoscerle invece che di conoscerle perla prima volta, accorcia le distanze.
[Simone Pallotta] La via del ritorno si fa assolata. Un sole velato riscalda i marroni di tutto quello che abbiamo intorno. Le linee delle ruote del trattore si intersecano con le impronte degli animali che non riconosciamo (cinghiali? O cosa?). Le nostre impronte affondano poco nella terra solo umida. Risalendo sul pullman battiamo le scarpe lasciandoci la terra alle spalle.
[Tommaso Meena] Ciao mare, ci vediamo l’anno prossimo.
Fotografia di Laura Rossi
Un esercizio
Potete annotare delle parole. Inventarvene di nuove, come «ortogonomare», «grigiallo», «oceano lungi-spumeggiante». Potete dare altri nomi alle cose note, nuovi nomi a cose non note. Scrivete degli haiku. Disegnate dei movimenti o degli elementi. Considerate il paesaggio come la possibilità di un ragionamento che inizia con l’esperienza del corpo: inizia da uno sguardo, da un ascolto, da un dolore o da un respiro. Più farete esperienza, sforzando lo sguardo, i muscoli o le parole, più seguiterete un pensiero che si fa selvaggio, e così si fa il paesaggio. Tra parole spaziose e spazi pensosi. Implichiamoci nelle cose.
Un'esperienza straordinaria di cammino e poesia.
Alcune sere dopo scrissi:
Io ero soltanto un'ombra
in cammino
A solstizio d'inverno
aspettavo la neve
tra sogni di bosco
e azzurrini
cristalli di brina
Strappi di radici
i passi
- uno sbattere d'ali -
alfabeti d'argilla
scura
su una terra che chiama