Un video di Luca alla Benedizione del fiume Po a Brescello, il 14 settembre
Questo è il primo numero di ERIDANO, IL PO: una newsletter a cura di Piergiorgio Caserini, Luca Boffi e Camilla Romeo.
Eridano è uno dei nomi del fiume Po. Ci è stato detto da un navigante, uno spirito tutelare di queste acque. ERIDANO, IL PO è il titolo del progetto artistico con cui esploreremo le Basse e le sponde tra Pavia, Piacenza, Sorbolo e Mantova, lungo il Po per un anno intero.
In queste newsletters leggerete delle ricerche e dei metodi che accompagneranno questo viaggio, e inevitabilmente troverete le storie dei luoghi, personaggi reali e verosimili, racconti popolari, feste e fisime che accompagnano queste terre.
Una volta camminai sul fondo del fiume Po. Era il 2021, e dopo mesi e mesi di siccità soltanto un rivolo fangoso si srotolava tra quelle decine di metri che fino a qualche mese prima erano un’unica superficie d’acqua. Passeggiavo su fragilissime piastrelle di fango, tutti cretti di sole dopo settimane di canicola. Peccato fosse aprile. Per chilometri il letto del Po era ridotto a una lunga lingua lunare, fatta di sabbia e di sfagni a malapena spazzolati dall’erba. Ricordo un albero incastonato tra i pilastri del ponte di Boretto, ricordo poco più avanti un relitto emerso dall’oblio della Seconda Guerra Mondiale, e dietro di noi la nave Jolanda dell’Alberto, il Re del Po, che giaceva nella sua consona incompiutezza, tutta legni, corde, chiodi e altalene. Da lì a poco nessuno l’avrebbe più curata, cominciando a scivolare anche lei verso qualcosa che somiglia a un ricordo.
Questo accadeva pochi anni fa. Oggi l’acqua spinge fuori dovunque, lecca ogni greto, copre ogni sfagno, raggiunge ogni paese. Tutto cambia in fretta in queste terre, e la velocità con cui accade sembra accelerare anno dopo anno. Potremmo dire che le ragioni stiano tra il cambiamento climatico e l’urbanizzazione capillare di questi luoghi, ma i fatti sono poi tangibili: da un momento all’altro scompare un boschetto e salta fuori un capannone, scompare un campo e appare una rotonda, scompare un paese e riemerge città. Con la stessa indiscrezione spariscono chilometri di golena e pioppeti, alle volte sommersi dall’acqua e altre rasi al suolo da ruspe. Si imbastiscono cantieri per nuove strade e cantieri per nuovi boschi. La Pianura cambia insomma tanto in fretta che l’unico modo per fermare qualcosa pare mettersi a raccontarla.
Le barche appostate che avrebbero rilasciato le fiaccole per la Benedizione
Ecco che allora ricorre una storia di questi racconti, che ha un suo cominciamento in Un Paese di Zavattini e nel Viaggetto sul Po. Narrazioni di viaggi e frequentazioni che, senza troppo volerlo, seguono l’ultimo destino della civiltà contadina della Pianura: sparire, da lì a pochi anni. Due decenni dopo, un secondo cominciamento: Celati assiste agli esordi della piccola borghesia, dei grandi capannoni e dei centri commerciali e, come se a ogni perdita dovesse seguire un disorientamento, ecco lo sbaraglio dello sguardo di Verso la Foce, trattenuto dai filari delle villette geometrili che si affastellano all’orizzonte tutte uguali; ecco la raccolta di storie sull’orlo dell’estinzione dei Narratori; ecco i personaggi monomaniaci delle Novelle. Sono gli stessi anni dei lunatici di Cavazzoni, dove pare emergere la matàna del Po (quella piccola pazzia ch’era privata, locale, e rivendicava una indipendenza irriducibile alle convenzioni). Sono anche gli stessi anni di Ghirri, che fermava l’occhio sempre su qualche cosa, ripartendo ancora e ancora l’ordine visivo delle terre piatte, vale a dire: orientandosi. Di cruciale, ci sembra, nelle loro parole e nelle loro esperienze, c’è lo stile memorialistico di chi vuol fermare qualcosa almeno una volta tanto e la centralità di un’esperienza imprevista tanto quanto quotidiana, qualsiasi, da cui traboccano puntualmente protagonismi. Qualcosa si ferma sempre all’orizzonte.
La Pianura cambia in fretta, e lo si vede dal paesaggio, lo si sente dalle voci che la raccontano. C’è così l’impressione, mai confermata e mai confutata, una vera e propria impressione insomma, che per qualche motivo un’idea di velocità sia nata in questi luoghi, e vi si sia incistata per bene. Sarà di certo perché è piatta, e dunque con una spiccata vocazione logistica, ma sarà anche perché di “naturale”, questa terra, ha ben poco: dalle case agli argini finanche al suolo, tutto qui in fondo reca il ricordo di un’intenzione umana. Un volere e una serie di azioni nascoste tra i verdi, dietro ai campi e affianco all’acqua. Cosicché, esagerando ma nemmeno troppo, si potrebbe dire d’essere noi a ogni foglia, a ogni campo, a ogni golena e argine. Siamo noi, qui e là, ma meno che nel Po: l’autarchica linea-centro di queste terre, che segue alle volte con atarassia e altre con violenza questo tutto-noi, riconsiderando puntualmente, a ogni suo parossismo, la stabilità della Pianura.
Il Crocifisso Parlante di Don Camillo, in processione assieme alle fiaccole sul Po
Da questa instabilità comincia Eridano. Ci prendiamo la briga, tenteremo, di assegnare ancora una volta un senso a questa terra. Ma senza strafare, intendiamoci subito: è un senso prima di tutto nostro, l’ennesima ricerca di un nostro dove, quel continuo architettare ragioni per star qui o lì, per dirci cos’è che è buono e giusto e fa piangere gli angeli e le nuvole, insomma, un’etica che è un esercizio teso sempre a rinnovarsi. Questo perché tutti i presenti, che siamo io e Luca, potrebbero giurare che ci siano parole e sensazioni importanti che avvengono soltanto qui, nella Pianura, ma specialmente nelle Basse, dove ci pare più che altrove di poter trovare delle ragioni convincenti per esistere e pensare bene, ben ambientati tra fango, gera e orizzonti, tra i vagiti di goffe nutrie e le nebbie che a banchi ci disambientano, ma soprattutto tra lambrusco, polenta e bolliti. Va da sé in Eridano troverete anche questo. Le tavole che guariscono ogni cuore sacrificandogli lo stomaco.
Questa prima newsletter termina con una frase amica che condividiamo per intero, ben piazzata del gran vecchio Zavattini: a si cme chiatar, siamo come gli altri. Cosa ben diversa dal più celebre je suis un autre del poeta veggente, che ci porta dritti a un punto di questi luoghi e della maniera con cui sono stati raccontati: qui siamo proprio tali e quali a chiunque altro.
Piergiorgio
Un dove
La Benedizione del fiume Po di Brescello del 14 settembre è un frastuono di pazze preghiere e di campane che sbattono a intonar la festa. I campanari suonano e il pubblico si anima per la fiaccolata di lanterne che alla deriva si perdono mangiate dal fiume.